Insultate, insultate, nulla resterà |
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Scritto da Tarcus ®
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Giovedì 02 Gennaio 2014 00:00 |
Riprendo questo articolo di Marcello Foa perchè da molto tempo (anni) sono convinto che molte delle manifestazioni di piazza, cortei e quantaltro restano solo e sempre fine a se stesse per il semplice motivo che chi partecipa a queste trova gratificante il fatto che "io c'ero, ho manifestato". Il mio pensiero è che le forze politiche, tutte, sanno benissimo che questa valvola di sfogo è sufficente a placare le animosità dei dimostranti e che nulla resterà.
E’ staordinario come, dopo le rivelazioni di Snowden, le gente continui a pensare che basti crearsi un nickname per garantirsi l’anonimato. E che, proprio in virtù di questo ipotetico anonimato, tenda a trascendere nei commenti sui blog e sui social network, scadendo frequentemente e voluttuosamente nell’insulto. In realtà il nickname non serve a nulla, considerato che un utente è identificato tramite l’indirizzo Ip. E coloro che usano un indirizzo Ip di un altro Paese, sono solo leggermente più al riparo sapendo che in realtà attraverso la tracciatura online e con l’ausilio degli algoritmi, sono facilmente identificabili. Ma a stupirmi ancor di più è l’ipocrisia con cui vengono sfruttati i commenti ”fegatosi” sui social. L’altro giorno i siti di Repubblica e del Corriere titolavano: minacce di morte ai politici in un post di Grillo. Leggendolo ho pensato che Grillo avesse minacciato di morte i leader di Sel e Scelta civica, in realtà il titolo si riseriva ai commenti postati dagli utenti. A parte l’evidente strumentalizzazione, l’indignazione perbenista di testate di sinistra come Repubblica appare francamente ridicola: proprio il loro popolo per anni ha scritto di tutto, sui social, contro Berlusconi, Bossi e altri leader: minacce, insulti, inviti al linciaggio, che ovviamente nessuna grande firma liberal ha biasimato. E ora basta qualche frase di qualche idiota, etichettabile come grillino, per suscitare esecrazione. Il doppiopesismo è evidente e si squalifica da sè. Così come, a mio giudizio, è l’inutilità di questi commenti. Fino a qualche anno ci voleva una notevole dose di audacia per dare pubblicamente del cretino a un politico. Ma ora lo fanno tutti. E se, dappertutto, tranne che in pochi regimi dittatoriali o autoritari, le istituzioni lasciano fare ci deve essere un motivo. Motivo che a mio giudizio è facilmente intuibile. Lo sproloquio e l’insulto online rappresentano uno sfogo alle frustrazioni dei cittadini, ma sia nella forma che nei contenuti ormai banali e, soprattutto, fine a se stessi. Raramente generano movimenti di protesta strutturati. Sono sfoghi emotivi, dunque effimeri; in quanto tali possono essere considerati dalle istituzioni non una causa di destabilizzazione, ma un male inevitabile e, in fondo, propizio. L’insulto in rete genera la sensazione di averle cantate ai potenti, ma scivola via veloce, quasi sempre senza lasciare traccia duratura. La protesta c’è ma è virtuale; finchè si limita a uno sfogo personale, nell’intimità del proprio schermo, è in fondo innocua. Se fosse organizzata e organica il discorso sarebbe diverso, ma l’ormai evidente fallimento dei “forconi” dimostra che il pericolo è remoto. Insultate, insultate, nulla resterà. |
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Coscienza di Libertà per 2Lei |
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Scritto da Tarcus ®
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Venerdì 15 Novembre 2013 23:55 |
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È un viaggio che inizia nell’orrore di questa "atavica" violenza, raccontando esperienze di donne che per amore, per ignoranza e per paura, hanno subito e subiscono, restando nel silenzio che le ha perdute. Ma è anche un viaggio di speranza, la speranza che ti porta l’informazione e la conoscenza e che rende la donna libera di ribellarsi, a qualsiasi forma di violenza. Infine è anche un viaggio di giustizia, per spingere ad essere consapevoli e coraggiose nel denunciare colui, che con la sua violenta follia, ruba loro la vita. La meta si chiama "Coscienza di Libertà". Si è pensato ad un cammino, realizzato raccontando fatti di cronaca accompagnati da slide di foto inerenti al racconto, questi, intervallati da brani musicali interpretati da una ballerina ed infine un ultimo racconto improntato alla speranza di raggiungere al più presto questa agognata libertà, questa, appunto "Coscienza di Libertà". Inoltre ci sarà, nella nostra land, una mostra fotografica per tutto il periodo dell’evento.
Dubai Jazz Group |
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Ottimista, fortunato, "strano" |
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Scritto da Tarcus ®
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Lunedì 21 Ottobre 2013 00:00 |
Ancora Marcello Veneziani citato per un articolo apparso su Il Giornale.
di Marcello Veneziani
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Cosa può dire un «filosofo» sulla crisi economica a una platea di manager d'azienda, strateghi d'economia e imprenditori? Cosa può dare di utile, di non scontato, un «umanista» a chi affronta in prima linea le sofferenze del mercato e i tormenti delle aziende, nella tempesta globale e locale che stiamo vivendo? Ben poco, penso.
Chiacchiere e distintivo, direbbe Al Capone versione De Niro, o chiacchiere e distinguo, trattandosi di filosofia. Ma quel poco che potrà dire e dare non sarà sul piano economico e manageriale, dove avrebbe più da imparare che da insegnare. È come se un marinaio volesse insegnare a sciare a un club di guide alpine. È una domanda che mi sono posto quando sono stato invitato a parlare in un incontro a manager e amministratori delegati di aziende sulla leadership al tempo della crisi e sull'etica degli affari.
Credo che un umanista tra le tigri del management debba partire ribaltando le premesse e i canoni: la crisi economica non si risolve solo sul piano economico; la leadership d'impresa non si fonda solo su criteri manageriali e su paradigmi d'efficienza; le identità e il genius loci non sono una palla al piede nel mondo globale ma possono diventare una risorsa anche per le imprese; l'etica degli affari non esiste in sé e comunque non giova né all'etica né agli affari. Per cominciare, lo scenario, la crisi economica. Sbaglia chi pensa che la crisi globale e nazionale che stiamo vivendo si possa risolvere con una risposta efficace solo sul terreno economico o finanziario, con una ricetta di tagli, sgravi, astuzie contabili e strategie tecnocratiche. Bisogna innanzitutto capire che la crisi economica per metà è di natura psicologica e motivazionale; ovvero la percezione negativa della crisi vissuta come catastrofe, ossia la depressione psicologica moltiplica e ingigantisce la depressione economica. Ma non solo: le società, le aziende, gli individui demotivati non hanno la forza di reagire e di rimettere in discussione le premesse. Sono del tutto immersi nel racconto della crisi e la vivono come un evento atmosferico, inevitabile, più grande di loro. Chi viceversa avrà la forza di rimettere in discussione i canoni, chi non accetterà l'automatismo della crisi e il fatalismo dei dati economici, disporrà di un'apertura d'orizzonte più ampia e di una reattività più vivace, potrà attingere a risorse mentali e reali, energie spirituali e imprenditoriali più fresche.
In secondo luogo, le leadership, anche in azienda, non nascono solo sulla base della loro aderenza funzionale al progetto, a volte anzi sono più efficaci per contrasto, perché se ne differenziano. Vi sono leadership mimetiche e vi sono leadership distintive: le prime affrontano la crisi adeguandosi alle tendenze di mercato, le seconde aprendo altri terreni di gioco. Sullo sfondo, c'è una marcata divergenza di leadership che vale anche in altri campi, politica inclusa: vi sono leadership seduttive e leadership carismatiche. Le prime seguono le mode, le seconde le precedono; le prime mirano a compiacere, sedurre cioè attirare a sé, si mostrano il più possibile omogenee agli utenti e ai dipendenti, «sono uno di voi»; le seconde invece sono esigenti, rimarcano la distanza, svettano per quella capacità di orientare il futuro e non solo di adeguarsi al trend. La leadership nasce, secondo Machiavelli, metà dal valore e metà dalla fortuna. E per metà è indole innata, per metà è attitudine acquisita. Tutto sommato, echeggiando Nietzsche e l'oracolo, si diventa ciò che si è. E ancora, per metà si diventa ciò che si vuol diventare grazie al lavoro e allo studio, e per metà ciò che le circostanze fanno diventare. Sono utili alle imprese sia le leadership mimetiche e seduttive, che quelle distintive e carismatiche, ma oggi forse c'è più bisogno delle seconde, è più tempo di inventare nuove strade.
Poi dicevamo il contesto globale e l'identità. La tendenza prevalente, e il consiglio dominante, è somigliare sempre più al mondo e al presente e sempre meno a se stessi e al genius loci da cui si proviene. E se una leadership forte, incisiva, tentasse il percorso inverso e puntasse su ciò che ha di diverso, non esportabile, non asportabile, ciò che sai fare o puoi fare solo tu o soprattutto tu, qui in questo luogo? Quel mix di natura, esperienza e cultura, di arte, clima e paesaggio, che costituisce il «Madre in Italy», prima che il made in Italy, fino a far valere il marchio italiano come un brand di eccellenza e non una sorta di impaccio provinciale? Nell'epoca della riproducibilità e della delocalizzazione generale puntare su quel mix irriproducibile, nel manifatturiero e non solo, è un punto di forza. Un nostro grande economista del Settecento, l'abate Galiani, che studiò prima di Marx il plusvalore, sosteneva che la rarità di un prodotto o la sua irriproducibilità determinasse il grande valore. Si tratta di saper giostrare tra due risorse che il sociologo ed economista Vilfredo Pareto definiva persistenza degli aggregati e istinto delle combinazioni, ovvero continuità dei patrimoni ereditati e capacità di combinarli con nuove istanze, nuovi linguaggi e nuovi scenari. Eredità e creatività, arte della mescolanza. Stabilità non è staticità.
Infine, l'etica dell'impresa. Non credo all'esistenza di un'etica autonoma dell'impresa, credo non possa esistere a sé stante, separata da un'etica e da una visione del mondo. Un'etica così o non funziona come etica o non fa funzionare l'impresa. L'etica viva non è un catalogo di norme ma una tradizione, cioè un patrimonio sedimentato nel tempo e testato dall'esperienza, in virtù del quale rispondiamo di ciò che facciamo alla comunità, ai nostri padri e ai nostri figli. L'etica discende da una civiltà e non da un codice solo interiore o solo giuridico, e genera un'estetica, cioè uno stile e un decoro. Tradizione è connessione, collegarsi a un passato, un futuro e un contesto condiviso nel presente. Certo, l'etica pone dei confini al profitto e all'espansione a tutti i costi. Ma offre anche due grandi opportunità: instaura un rapporto fiduciario con i propri utenti, li fidelizza, genera affidabilità e appeal. E insieme motiva i dipendenti, incentiva l'orgoglio d'appartenenza, esalta la loro dignità e li fa sentire più legati all'impresa, sia nel software che nell'hardware. Non ho osato suggerire strategie aziendali, mi sono limitato a consigliare un altro approccio metaeconomico, divergente dall'orizzonte globale, non allineato ai canoni e ai trend, attingendo ad altre fonti culturali, reali e simboliche per capovolgere alcuni limiti in virtù. Il resto, cioè quasi tutto, tocca ai fatti.
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Scritto da Tarcus ®
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Giovedì 08 Agosto 2013 00:00 |
Tocca oggi a Marcello Veneziani essere citato per la prima volta qui per un articolo apparso su Il Giornale.
di Marcello Veneziani
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Per sconfiggere il caldo basta concentrarsi sul fresco. Così suggerisce la nuova corrente dei meteo-idealisti. Sul clima si sta combattendo un'importante guerra filosofica: ai realisti che si attengono alle temperature effettive, segnate dal termostato, si oppongono gli idealisti per i quali la percezione del caldo è più importante di una stupida colonnina. Esse est percipi, diceva Berkeley, ma qui siamo oltre, all'idealismo climatico: il caldo non è quel che oggettivamente segna il mercurio ma quel che soggettivamente percepiamo sommando calore, temperatura esterna e corporea, sudore e il nostro stato psicofisico, euforico o depresso.
Siamo al relativismo termico. Non è solo una disquisizione accademica o bizantina, ma ha conseguenze pratiche. Se quel che conta è come noi percepiamo il caldo, allora più che comprare condizionatori d'aria dobbiamo esercitare la mente o ricorrere a esorcisti psicotermici per farci persuadere che poi tanto caldo non fa. Training autogeno, corsi di magia estiva con sciamani, o in mancanza con illusionisti e ipnotizzatori; poi immagini refrigeranti in video e sui display, gite in guardaroba per vedere i vestiti invernali, letture di scrittori russi. Concentratevi sul fresco, il caldo è un'impressione, dice il para-guru.
Ma perché questo Paese vive pure il clima come un'eccezione e una tragedia, sia quando fa freddo, sia quando fa caldo o piove? Cos'è questo terrorismo meteo e questa ipnosi termica? Ragazzi, l'estate fa caldo e col solleone fa molto caldo. Via col ventaglio.
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Sabato 13 Luglio 2013 23:48 |
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